Primo Moroni: il libro che non c’è

È sempre stato difficile, ricorda Tiziana Villani,(1) convincere primo Moroni a mettere nero su bianco i suoi pensieri, le sue riflessioni, analisi; più facile farlo parlare, raggirare l’ostacolo con lo strumento intervista. Eppure nello scaffale ideale per capire il nostro presente ci sono ben due libri indispensabili che portano la sua firma: L’orda d’oro(2) con Nanni Balestrini e La luna sotto casa(3) con John N. Martin, ai quali occorrerebbe aggiungere anche il volume da lui curato sulla lotta armata(4). E se a questi aggiungessimo “Il libro che non c’è” (ma che in tanti vorremmo che ci fosse) con la raccolta di tutti i suoi articoli editi e inediti, interventi, interviste e quant’altro, avremmo di certo un ulteriore ponderoso volume. E questo ci permetterebbe di scoprire quanto Primo sia “stato qualcosa di ben diverso dall’immagine stucchevole che di lui spesso viene fatta, personaggio pittoresco dei navigli che canta le gesta della vecchia mala.” Perché come ricorda ancora l’editoriale della rivista Primo Maggio dedicata alla memoria di Primo Moroni vent’anni dopo la sua morte(5): “Primo è stato un innovatore.” Alla stigmatizzazione della stucchevole immagine del narratore del folklore urbano occorrerebbe anche aggiungere l’errore di racchiuderlo, di volta in volta, nell’identità/gabbia del libraio archivio ambulante della memoria del movimento o dell’attivista più o meno rappresentante di un determinato centro sociale. La Calusca e il Conchetta sono stati per lui due “luoghi dell’esperienza” fondamentali, ma non certo i soli.

Certo è inevitabile, per tutti quelli che l’hanno conosciuto, collocarlo nella memoria in un dato luogo o in una data funzione. Ai più è inseparabile dalla libreria Calusca, ma è solo un’ingannevole e ambigua memoria: quale delle tre librerie o quattro se si considera l’ultima fase al Conchetta? E cosa faceva lì Primo? Vendeva libri, dava consigli, sentiva confidenze, scambiava opinioni e informazioni, prometteva di acchiappare la Luna o profetizzava che il cielo sarebbe caduto sulla Terra? La verità è che non c’è mai stata la libreria Calusca; piuttosto è esistito un luogo indefinibile che come il negozio della pecora in Alice faceva sì che gli articoli esposti non fossero mai stabili al loro posto, ma fluttuassero a seconda del bisogno e del desiderio instabile di chi voleva possederli. Ma ancora di più , qui a differenza del mondo di Alice, è anche il luogo stesso del negozio a fluttuare e a non trovare una dimora fissa. Così se è difficile, se non proprio impossibile, collocare Primo in uno spazio certo, altrettanto difficile è costringerlo dentro una categoria definita, definibile, che stabilizzi una volta per sempre la sua identità meticcia e nomade. Nell’intervista rilasciata a Tiziana Villani per la rivista Millepiani nel 1995 abbiamo, forse, uno degli snodi più significativi del suo pensiero, ben rappresentato dal titolo stesso dell’intervista: Territori della trasformazione e collasso dell’esperienza(6). È un’intervista ricca e densa da leggere e rileggere con attenzione, che si colloca, appunto, come snodo: punto di scambi di esperienze plurime in un territorio turbato dai processi di trasformazione delle attività produttive in atto e dai movimenti che resistendo immaginano altri percorsi, possibili alternative. Come già anche nell’Orda d’oro si rileva qui l’importanza di tutto quel movimento ‘underground’ che i “movimenti politici”, cronologicamente posteriori, tenderanno a stigmatizzare e da cui cercheranno di prendere le distanze senza però riuscire ad impedirne la sotterranea influenza che porterà in dote quelle “dinamiche del ‘rifiuto del lavoro’, alla ricerca di una sessualità e di una affettività non ‘proprietaria’ unita all’affermazione che ‘il personale è politico’, a tutto il movimento del ‘77”. Ma proviamo ora a giocare un po’ liberamente con l’ausilio di quel ‘Libro che non c’è’; a percorrerne i capitoli e a soffermarci qua e là su alcuni paragrafi, scorti per caso o per il brillio di una parola particolare. Milano istruzioni per l’uso è una sezione composta da vari articoli tra cui spicca quello dal titolo omonimo scritto per un libro curato da Ida Faré(7). La parola che qui ci colpisce subito è modernità: “nella sua durezza Milano è forse l’unica città italiana che consente di vivere la modernità.” Milano e modernità, associazione quasi banale, fin troppo scontata se non fosse che qui si intende “con questo termine, fin troppo usato, una forma dell’esperienza vitale che costringe i soggetti a confrontarsi continuamente col cambiamento, e dove il ‘luogo’ dei vissuti è ‘un ambiente che ci promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo; e che al contempo, minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che siamo’(8). Dove tutto ciò che ci sembrava solido e a volte condivisibile può dissolversi nell’aria improvvisamente e ineluttabilmente.” Tenendo sempre sotto mano, come guida privilegiata, l’intervista di Tiziana Villani possiamo subito notare l’importanza che Primo dà al testo di Marshall Berman L’esperienza della modernità, vero e proprio “attrezzo” usato anche per quell’incisiva analisi dell’opera di James G. Ballard che conserva nel titolo sempre la parola modernità(9). Ma notiamo anche l’autonomia del pensiero di Primo che non segue Berman nella sua frettolosa liquidazione dell’opera di Foucault(10). Di Michel Foucault scrive Primo: “mi sembra di poter dire che ha proseguito fino all’ultimo nel suo lavoro gigantesco di archivista della dialettica e della storia delle istituzioni fondanti della modernità.”(11) Se si pensasse a un libro dizionario su “Le parole di Primo” troveremmo sicuramente alla lettera M: Modernità e Milano, così come Mutazione e Morire. Milano è, possiamo dirlo proprio a partire dall’immenso lavoro di Primo, forse uno dei luoghi più esemplari in cui il dover morire è reso nella sua evidenza di condizione indispensabile alla mutazione necessaria alla sopravvivenza del genere umano, che in quanto specie animale non può prescindere dalle leggi che la natura impone a qualunque essere vivente. Milano allora non come narrazione di storie di un tempo passato, che sia quello della mala degli anni Cinquanta o quello dei conflitti degli anni Sessanta e Settanta, ma  Milano come “luogo possibile della mente”. Condizione di virtualità, di possibilità di vedere, tramite uno sdoppiamento, una sovrapposizione di livello trasparente, gli intricati fili dei rapporti di potere, dei conflitti, dell’urgenza del divenire altro e della resistenza a che questo avvenga. È di Milano che Primo si serve per tentare l’avventura dell’”Esserci”, cioè di quel “sentirsi in un certo senso a proprio agio nel vortice, fare propri i suoi ritmi, muoversi all’interno delle sue correnti alla ricerca di quelle forme di realtà, di bellezza, di libertà, di giustizia, che il suo flusso impetuoso e pericoloso consente.”(12) Nelle sue autobiografie, dettate, raccolte da altri(13), come nelle sue analisi dei centri sociali, sull’editoria antagonista, sulla scuola, le destre (soprattutto la Lega), la lotta armata, fino alla fantascienza e tanto altro ancora, è sempre la coincidenza del proprio corpo, concreto quanto immaginato, col corpo del luogo delle proprie esperienze: Milano, città anch’essa vissuta quanto immaginata, che permette a Primo di costruire percorsi capaci di attraversare lo spaesamento creato dal vortice della modernità. Imparare a stare ai bordi del maelstrom  senza precipitarci dentro e senza pensare mai di esserne usciti definitivamente fuori. Ma oggi a distanza di vent’anni il pensiero di Primo nel suo corpo a corpo con le sfide della modernità, con quella modernità che con il semplice prefisso “post” si vorrebbe trasfigurare in altro, risulta ancora di più un prezioso, quanto indispensabile, punto di partenza. Nel terreno della fase più avanzata della sperimentazione capitalistica rappresentata da Milano, con l’Expo prima e la città d’acqua poi, si va a configurare quell’efficace “macchina mitologica”(14) in costruzione, capace di farci vedere qualcosa che ci appaia come nuovo e allo stesso tempo in grado di farci ricordare qualcosa che sta alle nostre spalle, in un passato non meglio identificato. Si instaura così quella che avvertiamo come una nuova esperienza: quella di guardare e al contempo ricordare. È un gioco sottile che facendo leva sulla nostalgia di un passato tanto misconosciuto quanto fantasticato proietta un’immagine di un futuro non conflittuale, pacifico e pacificatore. Validi e possibili anticorpi a questo si trovano già tutti nel lavoro anticipatore di Primo. Nel suo immaginare la città innanzitutto come “luogo della mente”. Punto di vista spiazzante che travalica ogni discorso di presunta verità oggettiva. Le analisi e le statistiche (comunque presenti) valgono le descrizioni letterarie; e i racconti orali, le memorie dei suoi abitanti testimoniano dell’”uso e del vissuto” che hanno costruito le pratiche urbane “indipendentemente dalle intenzioni degli urbanisti o degli ingegneri programmatori.” Qualsiasi tentativo antagonista che voglia oggi provare a immaginare forme di sabotaggio possibile contro gli ingranaggi ben oliati del potere dovrebbe poter partire ‘da’ e lavorare ‘con’ Primo. Il collettivo Off Topic(15) nella mostra “Con Primo Moroni e Antonio Caronia” alla Fondazione Mudima ha prodotto una performance dal titolo “Un’ambigua ucronia”. Una Milano che partendo dalla sua storia novecentesca devia il proprio percorso storico a partire dalla grande nevicata del 1985 verso un futuro catastrofico, distopico.(16) Difficile pensare questo lavoro senza un accostamento, più o meno cosciente, dall’insegnamento di Primo (e ovviamente altresì, visto l’impianto marcatamente fantascientifico, all’influenza di Antonio Caronia). È un esempio, ma forse molti altri se ne potrebbero fare e altri ancora si potrebbero pensare e ideare. Ma per contro dobbiamo anche constatare che proprio la dispersione del suo lavoro, la mancanza di un lavoro critico, come una certa di per sé facile mitizzazione del personaggio, hanno permesso operazioni alquanto discutibili. Come la raffigurazione della libreria Calusca con lo stesso Primo, in un fumetto molto commerciale come Julia delle edizioni bonelliane.(17) Ed è dovuta probabilmente sempre a questa carenza il vedere attribuito a Primo l’aspirazione a voler “diffondere saperi senza fondare poteri”. Cosa di per sé né auspicabile né possibile visto che non si dà nessun sapere senza che un potere ne abbia potuto garantire una qualche forma.

Siamo solo all’inizio dell’esplorazione di questo “Libro che non c’è”, torneremo presto a sfogliarlo e a commentarlo, con un invito a chiunque, anche con idee molto diverse da quelle qui esposte, abbia voglia di aggregarsi.

 

  1. Tiziana Villani nel ricordo di Primo Moroni il 20.6.2018 alla Fondazione Mudima di Milano nell’ambito della mostra “Con Primo Moroni e Antonio Caronia”.
  2. Balestrini e P. Moroni, L’orda d’oro, Milano, Feltrinelli, 2003 (3^ ed.)
  3. N. Martin e P. Moroni, La luna sotto casa, Milano Shake, 2007. Il libro contiene anche gli articoli di Primo Moroni: Un certo uso sociale dello spazio urbano, Militarizzazione del Ticinese e Tra postfordismo e destra sociale.. Brani del 1° e 2° capitolo https://moroniecaronia.noblogs.org/estratto-laluna/
  4. Le parole e la lotta armata, a cura di Primo Moroni e IG Rote Fabrik, Konzeptburo, Shake edizioni, Milano, 2009.
  5. http://www.societadeiterritorialisti.it/wp-content/uploads/2018/03/Primo-Maggio_Numero-speciale.pdf
  6. Millepiani n. 5, 1995. https://moroniecaronia.noblogs.org/territori-della-trasformazione-e-collasso-dellesperienza/
  7. Ida Faré, Il discorso dei luoghi, Napoli, Liguori, 1992
  8. Marshall Berman, L’esperienza della modernità, Bologna, Il Mulino, 1985. Ristampato nel 2012 col titolo: Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria.
  9. http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2018/01/primo-moroni-sfide-della-modernita.html
  10. Pur ammettendo che Foucault è stato praticamente “l’unico scrittore dello scorso decennio che ha avuto qualcosa di concreto da dire sulla modernità” il giudizio finale di Berman  è drasticamente negativo: “Foucault offre a una generazione di sopravvissuti degli anni Sessanta un alibi-storico pratico per giustificare il senso di passività e di impotenza che ha colto tanti di noi negli anni Settanta. Non c’è ragione di resistere alle oppressioni e alle ingiustizie della vita moderna, poiché finanche i nostri sogni di libertà non fanno che aggiungere anelli alle nostre catene; comunque, una volta presa coscienza della totale inutilità di tutto, possiamo almeno rilassarci.”
  11. Primo muore prima della pubblicazione dei corsi di Foucault al College de France.
  12. Berman, L’esperienza della modernità, cit.
  13. https://www.dinamopress.it/news/don-lisander-alla-calusca-autobiografia-primo-moroni/
  14. Prendendo a prestito da Furio Jesi questo termine che indica la tecnicizzazione del mito.
  15. http://www.offtopiclab.org/
  16. O forse è il contrario: immagina una storia passata alternativa per ritornare in quella reale a partire dal 1985. http://un-ambigua-utopia.blogspot.com/2018/08/alba-di-ruggine.html
  17. Julia, n. 238 luglio 2018, Milano calibro 7.65, scritto da Giancarlo Berardi e Lorenzo Calza, disegnato da Roberto Zaghi. Nella Calusca del terzo millennio, pulita, in ordine con tutte le riviste ben sistemate in razionali librerie con tanto di contenitori ed etichette; non manca neanche quel tocco di disordine con alcuni libri e riviste impilate malamente dietro la scrivania in cui sta seduto Pino Moroni. È una storia tutta da leggere e da soppesare parola per parola, immagine per immagine. Non manca nulla: la Kendall col fidanzato poliziotto italiano abbracciati sul ponte del Naviglio coi versi di Alda Merini; e la violenza nuda e cruda della ragazza colombiana incinta con il fidanzato italiano ultrà, che ammazzano a sangue freddo ma si sciolgono in lacrime abbracciandosi e arrendendosi alle parole amorevoli di Julia, che li convince del “senso di accoglienza delle istituzioni”. Finisce la storia con una cantata, forse rap, in cui i sanpietrini non devono più servire per essere tirati agli sbirri e alle vetrine ma per fare case alle bambine. Ma per fortuna quello non è Primo Moroni ma solo un tale Pino Moroni che nessuno ha mai realmente conosciuto!