L’umanità come forza geologica, una recensione.

Inauguriamo oggi il ciclo di letture che ci accompagnerà in direzione della 3a puntata del ciclo La fine dell’uomo, ogni seconda domenica del mese al Piano Terra di Milano.

Recensione di Giuliano Spagnul a:

Antropocene. L’umanità come forza geologica, racconti e saggi a cura di Francesco Verso e Roberto Paura edito da Future Fiction & Italian Institute for the Future, 2018.

Questo libro parte da un presupposto importante citando, nella prefazione, lo scrittore Kim Stanley Robinson: “noi decidiamo cosa fare sulla base delle storie che ci raccontiamo”. Una indicazione di lavoro su un immaginario che presuppone una “potenza”, insita nella fiction, capace “di calare il lettore o lo spettatore in uno scenario fittizio ma plausibile, trasformando in fatti ed eventi i nudi numeri degli scienziati” e che per questo eserciterebbe “una forza persuasiva da non sottovalutare.”  Sei racconti, tutti recentissimi tranne quello di Robert Silverberg del 1990 (gli altri di Jean-Louis Trudel, Clelia Faris,Chen Quifan, Marian Womak e Francesco Verso) fanno da contraltare ad altrettanti brevi saggi di Marco Signore, Antonio Camorrino, Fausto Vernazzani, Gennaro Fucile e Roberto Paura. Si alternano e si rincorrono su questa tematica di paura dei cambiamenti climatici in atto. Le narrazioni, ormai lo sappiamo bene, hanno sempre avuto un grande impatto sulla realtà, influenzate dalla vita a loro volta l’hanno influenzata.

E oggi, tra le grida di allarme per le varie crisi che sta subendo la vita nel nostro pianeta, dentro questa nuova era di rischio massimo chiamata antropocene, ecco che si aggiunge anche quella delle grandi narrazioni (grandi utopie, laiche o religiose che siano) con la loro presunta fine. La narrazione, prendendo a prestito ciò che dice l’antropologo Carlo Severi: “è anche un atto. Essa esprime la presenza di un narratore, non soltanto dei personaggi di cui parla.” (1) Questa estrapolazione, da tutt’altro contesto, ci torna utile qui perché evidenzia una caratteristica di molta narrativa odierna (nel senso più ampio dalla fiction alla divulgazione di massa) così ben esemplificata da questa stessa antologia. Si narra, si fa speculazione su ciò che è, e su ciò che potrebbe essere, in base a ciò che già è, almeno in nuce. Ma cos’è quello che c’è? Quello che la scienza ci dice; in ultima istanza, non narrazioni ma fatti. E se la forma di questi fatti (o eventi) è il prodotto che la narrazione stessa  ricava da questi fatti nudi e crudi (i nudi numeri degli scienziati) allora la narrazione cessa di essere quell’atto che inevitabilmente contiene in se colui che li narra. È l’oggettivo reale che si presta ad essere documentato e raccontato a scapito di quella valenza mitopoietica, da sempre considerata caratteristica principale dell’autore. La potenza del narrare si esprime in un’opera di convincimento, di presa d’atto della realtà. Ma è proprio così? Se la fantascienza, nata nella società dei consumi statunitense negli anni ’20 e morta con la fine della contestazione globale degli anni ’60 e’70, aveva come compito quello di renderci edotti (nell’essere forza persuasiva) dei pericoli a cui andavamo incontro con il progredire della modernità, possiamo dire che ha mancato, e di molto, il suo obiettivo. Se invece ce la immaginiamo come quell’enorme caleidoscopio  capace di aiutarci nell’assoggettamento a quel ritmo frenetico di cambiamenti di cui l’innovazione tecnico-scientifica legata ai modi di produzione del capitalismo, nella sua fase più matura, aveva urgente necessità, allora possiamo sostenere che il suo scopo è stato ampiamente raggiunto. Ormai siamo in grado di reggere ritmi di cambiamenti sociali impensabili alle generazioni passate. E quindi non è necessario fantasticare di tutto e di più. Dobbiamo tornare al buon senso, e prendere atto della realtà e delle conseguenze delle nostre pratiche. Non coltivare altri sogni o altri modi di pensare al di fuori di ciò che è indispensabile per la sopravvivenza, a rischio, del nostro pianeta e della nostra specie. Inevitabilmente i narratori dei racconti, tutti molto belli, e dei saggi, accurati e puntuali, di questa antologia pongono la loro presenza, di fatto, all’ombra di ciò che viene narrato. Sembrano al servizio di una narrazione, interpreti di una partitura già data e consolidata che dice che la nostra salvezza sta nelle nostre mani, e queste sono (devono esserlo) guidate dal nostro cervello, cioè dalla ragione che discerne i dati giusti e veri della realtà. Se il narratore dovesse evidenziarsi, come facevano tanti autori del passato, il gioco rischierebbe continuamente di rompersi e nuove invenzioni, nuove prospettive dovrebbero essere messe in atto per continuarlo. E allora, cercando di andare controcorrente, dobbiamo invece provare a dire che è proprio questa la potenza dell’atto della narrazione. Non la grandezza di un’utopia, non la sicurezza di una garanzia scientifica, ma la capacità di creare norme, trasgredirle, crearne di nuove e continuare il gioco. Che è il gioco della vita: mutare per avere nuove possibilità di adattamento a un processo vitale che non sta mai fermo. Rischioso, è vero, ma è proprio per questo che ci servono narrazioni rischiose, che ci parlino anche di colui che narra, che lo mettano in gioco con le sue credenze, illusioni. E  soprattutto, senza nascondersi dietro un apparato logico e razionale, del quale, se pur non possiamo farne a meno, dobbiamo sapere che altro non è che un ibrido di ragione e sragione in cui le possibilità di discernere l’una dall’altra non può voler dire escludere l’una a beneficio dell’altra.

Rimando all’articolo di Umberto Rossi (2) per una bella ed esaustiva recensione di questo libro; io qui mi sono arrischiato in alcune considerazioni, un po’ o tanto (dipende dal punto di vista) sopra le righe per cercare di evidenziare alcuni limiti di un approccio che credo si affidi troppo al puro dato razionale. Come abbiamo imparato da quel genere, poco nobile, chiamato fantascienza occorrono altri modi di pensare il possibile. Occorre rischiare di pensare altrimenti.

Nota 1: Carlo Severi, L’oggetto-persona, Einaudi 2018, p. 5

Nota 2: https://pulplibri.it/article/lera-della-terra-rovente/