Homo turisticus

di Giuliano Spagnul

Nelle otto tesi sulla turistificazione, un dossier a cura della redazione bolognese di InfoAut (1) si evidenzia il bisogno di non assumere il turista come controparte in quanto è necessaria “una distinzione chiara tra lo sfruttamento del turismo nel segno della rendita e la legittima volontà di conoscenza di altri luoghi da parte di tutti e tutte noi.” Preoccupazione più che legittima se si pensa alle tante invettive che il vituperato animale turistico si trova a ricevere sulla propria testa; (2) come se tutti noi, fuori dai nostri confini (di quartiere, città, nazione) non diventassimo , nostro malgrado, altrettanto turisti per gli altri. Comunque sia, alcune domande in più sul turista, su questa figura di fine millennio e di fine del mondo occorre farsele. Fine del mondo innanzitutto come fine del mondo sconosciuto: ogni luogo è ormai stato visitato, esplorato, mappato fin dall’alto dei cieli, letteralmente.

E allora, forse, quel contadino calabrese che negli anni Cinquanta del secolo scorso accompagnò in macchina l’antropologo Ernesto De Martino per pochi chilometri fuori dal proprio paesello per indicargli un certo bivio stradale e che fu preso dal panico appena il suo campanile cessò di essere a portata di vista (tanto da dover essere riaccompagnato di corsa indietro) (3) oggi non sarebbe più un esempio adeguato a descrivere lo spaesamento comune a ogni viaggiatore nel valicare i propri confini esistenziali. Quali sono adesso i confini che delimitano la nostra appartenenza certa e rassicurante, quando il mondo con le sue tragedie e brutture ci invade continuamente, e non solo sugli schermi all’interno delle nostre case ma sempre più in tutti i luoghi, anche all’aperto, e nelle nostre stesse mani tramite i vari dispositivi mobili? È allora, forse, la ricerca in altri luoghi di ciò che ci appare come conosciuto che ci può rassicurare? Non solo “legittima volontà di conoscenza” allora, ma altrettanto legittima volontà di riconoscere altrove ciò che vorremmo intatto e immutato nel tempo a casa nostra. Masturbazione del viaggiare? Forse… ma dovremmo ancora credere che la masturbazione ci rende ciechi? Il turista vede ciò che vuole vedere, ciò di cui abbisogna per riuscire a stare nel mondo, insieme agli altri, condividendo con i propri simili. Sogniamo le spiagge deserte ma poi ci annoiamo e volgiamo lo sguardo in giro alla ricerca di altri umani. È certo che in questi bisogni la macchina del capitale ci sguazza: è il suo mestiere! Ma per resistere all’inquadramento e alla messa in valore (monetario) dei nostri legittimi, strani, mutevoli bisogni occorre saper guardarci per quel che siamo: fragili esseri bipedi, da poco (dal punto di vista del tempo dell’evoluzione) scesi dagli alberi, che cercano di capire il come e il perché del loro incessante muoversi in quella radura tutt’altro che conosciuta e affatto ostile in cui si trovano “gettati”.

Turismo intelligente contro turismo volgare e di massa, è questa la soluzione? Il turista che guarda senza vedere, che autocertifica la propria presenza in quel luogo che è diversamente uguale a quello che ha lasciato. Certificazione della propria esistenza appaesata e condivisa con altre umanità alla ricerca delle stesse garanzie di esistere, di esserci, in un qualche modo, anche loro, nel mondo. In un racconto (4) Kafka scrive che: “si temono parecchie cose: che la materialità possa scomparire, che gli uomini siano davvero come appaiono nel crepuscolo, che non sia lecito camminare senza bastone, che forse sarebbe bene andare in chiesa e pregare gridando per essere guardati e diventare concreti”. Ebbene, forse, i santuari moderni del turismo rispondono proprio a questo, a queste necessità. Di non rischiare di scomparire nel crepuscolo. Se si vuole combattere la mostruosa macchina del turistificio non basta contrapporsi frontalmente ad essa, occorre anche lavorare per capire la nostra e l’altrui inquietudine che perpetua questa incessante e vorticosa orgia del viaggiare. Contrapponendo, semai, ad essa forme altrettanto assurde, esperienze paradossali come quel viaggio da Parigi a Marsiglia in autostrada compiuto dagli autonauti Julio Cortazar e Carol Dunlop in trentadue giorni. (5) Un turismo all’insegna della scoperta, anche qui, dell’ovvio, di quello che hai sempre davanti agli occhi, ma con il tempo di vederlo in altro modo.

Allora, probabilmente, occorrono otto tesi anche sul turista, su quello strano essere da cui tutti noi vorremmo prendere le distanze poiché, forse, la vista del nostro doppio ci appare sempre più insopportabile, anche perché sappiamo essere impossibile non doverci convivere.

Nota 1: Per il convegno “Per una critica delle città globalizzata” ospitato dal Laboratorio CRASH di Bologna 30/31 maggio 2018. https://www.infoaut.org/approfondimenti/otto-tesi-sulla-turistificazione

Nota 2: A titolo di esempio un articolo che contrappone i Goethe viaggiatori di una volta, con la rivoltella (sic) per difendersi dai briganti, dai Goethe imbruttiti di oggi, per i quali viaggiare è solo masturbazione https://www.linkiesta.it/it/article/2017/08/17/il-turismo-non-centra-piu-col-viaggiare-e-solo-masturbazione/35246/?fbclid=IwAR36CB5AY0sj2mfIGIcYqWU9ZSISYzECnx1hvfE64LmY7n_2PxO0Io-kjE0

Nota 3: Ernesto De Martino, La fine del mondo, Torino Einaudi 1977, 2002.

Nota 4: Franz Kafka, Descrizione di una battaglia, in Racconti, Milano, Mondadori

Nota 5: J. Cortazar e C. Dunlop, Gli autonauti della cosmostrada ovvero un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia, Torino, Einaudi 2012