L’ignoto spazio profondo, qualche annotazione sul film di Herzog.

Con questa non-recensione si chiude lo spazio dedicato alla terza puntata e comincia la rincorsa in vista del prossimo 14 aprile, con il quarto volume de La fine dell’uomo.

Il film L’ignoto spazio profondo di Werner Herzog è il più antifantascientifico film di fantascienza che sia mai stato prodotto. E non solo per la figura dell’alieno “il più emarginato, più umano” extraterrestre arrivato sul nostro pianeta e “condannato alla solitudine e al rimpianto” (1) dell’intera storia del cinema di science-fiction (2).

Giustamente alla fine del film Herzog ringrazia la NASA, da cui ha preso una gran parte delle immagini, per aver avuto il coraggio di seguirlo nella sua impresa, in questo canto antiprometeico. Perché questo è ciò che esprime questa opera: una straziante, quanto ironica, liquidazione di ogni, tanto orgogliosa quanto immotivata, presunzione di eccezionalità di specie. Una specie autodefinitasi Sapiens e che guarda attonita e impotente la propria, più che probabile, estinzione prossima ventura. Senza cinico compiacimento, ma senza poter evitare un certo senso di ineffabile umorismo, quasi a voler compensare quella sensazione di imbecillità che perviene dai nostri comportamenti così poco sapiens di fronte all’imminente catastrofe, Herzog ci offre la visione di una potente opera per un possibile riscatto.

A fianco delle uniche parole che hanno il coraggio della verità per bocca dell’altro, dell’alieno, del matto, del deviante insomma, c’è l’unico viaggio che può ancora, forse salvarci: quello che ci porta a “un nuovo ancoraggio alla materia e al corpo (…) unico antidoto efficace all’estremo spaesamento e al nostro naufragare” (3). Sono quei corpi di quegli astronauti, in viaggio per nessuna parte, che si manipolano,  che si toccano negli immensi e infiniti spazi che si aprono con l’ascolto delle musiche e dei canti della Sardegna, del Senegal, ma che potrebbero venire da altri posti e popoli fuori dalla storia, dalla nostra catastrofica storia, di uomini bianchi e occidentali pretenziosamente sicuri di poter essere altro dalla natura, in definitiva fuori dalla natura, fuori dal mondo, fuori da ogni vita possibile.

Nota 1: Gennaro Fucile, È un giramondo? Un alieno? No è Herzog! http://www.quadernidaltritempi.eu/e-un-giramondo-un-alieno-no-e-herzog/

Nota 2: con l’eccezione forse di Fratello di un altro pianeta dell’indipendente John Sayles (1984)

Nota 3: Antonio Caronia, Cogli l’attimo! (Se ci riesci) L’Unità 10 giugno 2004 https://www.academia.edu/305223/Cogli_lattimo_se_ci_riesci_

di Giuliano Spagnul