Quarto contributo in attesa dell’Autodistruzione nucleare.
Quando ci prende la tentazione di – premere il bottone – e si cade in questa tentazione anche ammettendo che qualche altro, un giorno, potrebbe essere costretto a farlo, se necessario – quando cadiamo in preda di così atroce insidia e di così disperata e deserta contemplazione del possibile, ricordiamo non già i duecentomila di Hiroshima, o i sei milioni di ebrei, perché questo aver bisogno di immagini quantitative per respingere la nuova ecatombe è già un segno di dannazione. In realtà dovrebbe bastare l’immagine di un solo volto umano segnato dal dolore, di un concretissimo volto di persona che abbiamo visto patire senza colpa, in un certo luogo del nostro spazio e in un certo momento del nostro tempo: per esempio l’immagine di una bambina solitaria, affamata e disperata che una volta incontrammo in una certa strada di campagna del miserabile Sud.
Dovrebbe bastare questo ricordo, o qualch’altro del genere, affiorante malgrado il nostro impegno a diffidare del sentimento e del cuore, e malgrado la nostra maschera di calcolante freddezza e di virile pudore. Che se invece quel volto concretissimo, vivente, non affiora, o anche affiorando non basta a farci riconoscere tutti i possibili volti umani in atto di lottare contro il dolore, e il nostro volto stesso: e persino se avremo bisogno del volto del Cristo sulla croce per mascherare questa memoria, non essendo più capaci di viverla nella immediatezza di una persona singola che abbiamo amato, allora è pur sempre possibile che qualcuno, oggi o domani, compirà l’atto estremo che in fondo, con quel non poter rivivere, abbiamo già compiuto noi stessi: vero delitto perfetto che nessuna polizia al mondo potrà mai scoprire, e non soltanto per il solito criterio quantitativo che lo sterminio della specie umana avrà coinvolto anche poliziotti e giudici, ma perché è stata spenta nell’intimo la stessa umanità giudicante ancora prima dell’atto che la distrugge materialmente nell’ecatombe dei corpi.
(da: E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali. Einaudi 1977, p. 477. Nuova edizione 2002).