Con Giorgio Griziotti abbiamo affrontato nell’ultimo incontro sulla “fine dell’uomo” il tema del Neurocapitalismo e i dispositivi del tempo.Questo contributo chiude il quinto blocco tematico del ciclo ed apre alla prossima ed ultima puntata: La fine.
Il tempo è il grande protagonista, vero e proprio convitato di pietra, presente in tutto il ciclo di incontri. Nel suo intervento, giustamente, Griziotti focalizza l’attenzione sui dispositivi tecnologici del tempo, sostituti mobili di quella foresta di orologi che aveva invaso palazzi e vie nelle città, man mano che l’evo moderno andava affermandosi. Qui di seguito una breve traccia, tentativo di tirare qualche filo del discorso fatto nei vari incontri che si sono succeduti, partendo proprio da questa risorsa precaria, e sempre più determinante per le nostre vite, che è il tempo.
Occorrerà tentare ancora di mettere insieme i vari discorsi emersi in questo viaggio che abbiamo chiamato la fine dell’uomo, ma che auspichiamo possa essere la fine di ciò che deve comunque poter finire per lasciare il posto a ciò che deve poter nascere. Cambiamenti e mutazioni necessarie per continuare questa avventura, questo esperimento (tra i tanti) che la natura sta compiendo: la nostra vita di umani, da umani, per quel che poi decideremo, tutti insieme, che questo possa ancora significare.
Introduzione al 5° incontro su “La fine dell’uomo”
Appunti per cominciare a tirare alcune fila del discorso a cura di Giuliano Spagnul
Quinto appuntamento sulla fine dell’uomo, siamo arrivati al clou di questa serie di incontri toccando un tema che, in larga misura, li interessa tutti: il tempo.
Il tempo dell’evoluzione, il tempo della fine. Perché ogni passaggio evolutivo prevede una fine, come evocava il titolo del 1° appuntamento: Evoluzione e catastrofe. Il cambiamento prevede sempre una catastrofe, cioè un rischio, quello di non far passare il morto ma di passare noi con esso, per dirla con il grande antropologo Ernesto De Martino. Questo è il grande rischio che tutti corriamo oggi se non riusciamo a elaborare il lutto delle grandi utopie che sono morte (religiose o laiche che siano).
La catastrofe, che ha determinato la morte delle utopie ha la sua principale causa, io credo, nell’accelerazione del tempo imposta dalla modernità e dal suo costituirsi come valore in sé, sacrificando di fatto tutta un’altra serie di valori consolidati fino a quel momento. La velocizzazione del tempo fa sì che si crei un tempo unico, omogeneo che, man mano, distrugge tutti i confini tra tempo sacro e tempo profano, tempo del lavoro e del dopolavoro, della vacanza, dell’ozio, della festa, da dedicare alla famiglia, ma anche tempo della veglia e tempo del sonno, ecc. È un tempo che divora gli steccati, e pertanto le differenze, e che divora anche se stesso velocizzandosi al massimo per cercare quasi di annullarsi.
Abbiamo visto con la discussione sull’antropocene (3° incontro)l’inutilità di una domanda sul quando la storia umana inizi a pesare sulla storia del mondo, a farsi in un qualche modo forza geologica essa stessa. Domanda oziosa perché in realtà qualunque essere vivente, anche in misura minima, comunque ha un peso sul mondo di cui fa parte. L’eccezionalità umana, rispetto a questo, ha una data precisa che si ascrive all’accelerazione e alla riduzione costante del tempo che governa le nostre vite. Un’accelerazione che si riverbera su tutto, su di noi come sul mondo circostante. Che si chiami Capitalocene, o in altro modo, forse non è molto importante. È il lutto di una catastrofe che riguarda il tempo che dobbiamo riuscire a elaborare, cioè capire. Per riuscire a mettere di nuovo mano al tempo. Quel tempo fuori di sesto.
L’abbiamo visto anche nel 4° appuntamento sul nucleare (di guerra o di pace che sia) con il suo anelito al “giorno dopo…”, a una fine che aspira a un nuovo inizio, anche se drammatico, anche se assai improbabile. E abbiamo visto i tempi dei resti del nucleare di pace che misurano un tempo non umano, non commensurabile alla vita di un individuo e neanche a quello di intere civiltà. Ma forse ancora di più l’abbiamo visto con il 2° appuntamento sulla disneyficazione del reale, con quel vero cancro della modernità che è il turismo. Proprio qui possiamo vedere da una parte la ricerca di un tempo altro (contro un tempo che è sempre più produttivo si cerca di fuggire verso un tempo improduttivo aperto ad altre esperienze), dall’altra la frustrazione di trovare un tempo di vacanza che è sempre e comunque produttivo, mercificato.
Eppure, proprio qui possiamo verificare il sintomo di una sofferenza e di un tentativo (anche se irrisolto) di ribellione. Negli interstizi di quelle esperienze turisticizzate, massificate, mercificate (chiamiamole come si vuole) il turista mordi e fuggi, quello della domenica, il turista non intelligente, nelle interminabili file e code cerca di trovare il proprio tempo altro, quello di cui avverte essere stato espropriato. È la fila di ore e ore per la vista ad uno stand qualsiasi dell’Expo a costituirsi come evento da raccontare e da tramandare, se mai nella fila prossima ventura. È questo tempo di attesa e di noia che si cerca di far assurgere a tempo liberato.
Oggi Giorgio Griziotti, che proprio qui a Piano Terra due anni fa presentò il suo libro Neurocapitalismo ci parlerà di quel poco tempo che rimane ancora dopo che è stato per gran parte divorato dai nuovi dispositivi tecnologici. inventati apposta per sottrarcelo probabilmente in maniera definitiva.