Primo contributo in vista dell’appuntamento numero 4 del ciclo #lafinedelluomo.
Su uno dei ponti di Hiroshima c’è un uomo che canta e pizzica le corde di uno strumento. Guardatelo. Dove vi aspettate di trovare il volto, non troverete un volto, ma una cortina: perché non ha più volto. Dove vi aspettate di trovare la mano, non troverete una mano, ma un artiglio d’acciaio: perché non ha più mano.
Finché non riusciremo a raggiungere lo scopo per cui ci siamo radunati qui, e non avremo esorcizzato il pericolo che, alla sua prima manifestazione, ha portato via duecentomila uomini, quell’automa sarà su quel ponte e canterà la sua canzone. E finché sarà su quel ponte, sarà su tutti i ponti che conducono al nostro futuro comune. Come atto d’accusa, e come messaggero.
Riscattiamo quell’uomo dal suo ufficio. Facciamo quanto occorre perché sia possibile dirgli: – non sei più necessario; puoi lasciare il tuo posto -.
(Parole conclusive del discorso tenuto dall’autore al IV Congresso internazionale contro le armi atomiche e nucleari e per il disarmo, Tokio, 20 agosto 1958).