da “Le parole e la lotta armata”

Molti studiosi affermano che il ’68 italiano sia durato dieci anni in più che negli altri paesi. Questo sia per l’estensione degli organismi rivoluzionari, nati fuori dai partiti tradizionali, sia per la caratteristica fondamentale di legame profondo con la classe operaia. La classe operaia italiana delle grandi fabbriche si saldò strettamente con i movimenti sociali esterni alla fabbrica, creando una unione tra operai, studenti e lavoratori di altri comparti, determinando l’estendersi di un’autonomia politica, dell’intelligenza sovversiva sociale separata dalla sfera del dominio politico dei partiti e delle istituzioni. Tale separazione venne giudicata molto pericolosa dalla classe politica italiana degli anni Sessanta-Settanta, espressione delle lobby delle borghesie industriali, che di fronte alla grande rivolta si è arroccata rispondendo in termini di ordine pubblico.

Uno storico “liberal”1 ha analizzato 5000 episodi di violenza in Italia, tra il 1967 e il 1975, dimostrando che i soggetti che li avevano compiuti rivendicavano degli obiettivi ampiamente compatibili con la costituzione democratica italiana: chiedevano alle istituzioni semplicemente l’applicazione dei principi della costituzione. Siccome il sistema politico italiano di allora, arretrato e corrotto, non era in grado di garantirla, furono scatenate contro il movimento le forze di polizia: reprimendo, manganellando, arrestando, ammazzando.

I movimenti, tuttavia, non sono nati solo a causa della repressione, ma con una propria autonomia, una propria idea diversa della solidarietà, del lavoro, dei rapporti con lo stato e il concetto stesso di autorità.

La componente armata all’interno dei movimenti venne acuita dal rifiuto di un processo di modernizzazione democratica della società. Al culmine dell’autunno caldo2 i servizi segreti dello stato, unitamente ai loro colleghi americani, provocarono la strage di Piazza Fontana, facendo ricadere la colpa su dei militanti anarchici, per spezzare le lotte operaie. Ciò a fatto sì che molti compagni della nascente sinistra rivoluzionari italiana si convincessero che la borghesia avesse posto lo scontro sul piano militare. Da quel momento datano i primi organismi clandestini armati: i GAP3 scrivono nei loro documenti che forse è in corso un colpo di stato in Italia e che bisogna prepararsi. Così farà la 22 Ottobre e lentamente anche i militanti di alcuni organismi, ancora pubblici e visibili come Sinistra proletaria, Nuova resistenza – vengono fondate le prime Br semiclandestine. Tutte le organizzazioni politiche extraparlamentari di quel periodo4 si dotano di un servizio d’ordine e di strutture semiclandestine, nell’eventualità di doversi difendere da un attacco militare dello stato.

Quella strage, che segna storicamente l’inizio della “strategia della tensione”, ha impresso una torsione alla politica italiana e al movimento rivoluzionario. Ma l’offensiva di criminalizzazione dei movimenti, ricercata con le stragi, non riuscì a interrompere le lotte, che anzi si svilupparono nel “ciclo dell’operaio massa” (cioè della figura di operaio del nuovo sistema produttivo fordista), che durerà dal 1969 al 1973, determinando la cosiddetta “conflittualità permanente”.

Si ha però una perdita in questo conflitto: negli anni Sessanta, insieme alla rivolta sociale e economica del mondo del lavoro, si accompagna una grande rivolta culturale, esistenziale. Molto studiata è stata quella USA, della cultura underground, ma anche in quella francese e nell’esperienza delle comuni di Berlino, si dava importanza alla rivoluzione esistenziale come principio fondante della liberazione di tutti. Un fenomeno di rinnovamento culturale complessivo che ha portato alla rivalutazione della psicoanalisi, alla critica delle istituzioni totali, dei manicomi, delle carceri, della giustizia, alla critica del sapere borghese. Con la radicalizzazione politico.ideologica del periodo 1968-69, la componente più controculturale si separa e fa un percorso parallelo a quello delle formazioni ufficiali della sinistra rivoluzionaria e delle nascenti formazioni clandestine.

Questo ciclo fece un lungo percorso fino al 1973 e fu molto difficile per il potere riuscire a governarlo. Il movimento si estende sempre più, tocca strati molto diversi della società e ingloba nella rappresentanza rivoluzionaria anche quei soggetti che erano disprezzati dai marxisti – come il Lumpenproletariat, i settori improduttivi – coinvolge parte dei ceti medi come gli insegnanti, e produce, tra l’altro, il grande evento della presa di coscienza della propria differenza da parte del movimento delle donne. Interi settori della società raggiungono la loro autonomia all’interno dello stato, rendendone per larga parte impraticabile la gestione ordinaria e costringendo gli apparati e i padroni a un’operazione sotterranea e costante di provocazione, violenza e mistificazione.

Non potendo proseguire in quello scontro, c’è una seconda fase, che va dal 1973 al 1978 circa, quando i padroni decidono di agire direttamente sul corpo vivo della classe e della società, dando avvio a una profonda ristrutturazione industriale insieme a un marcato decentramento produttivo, prendendo interi pezzi di fabbrica e spostandoli in altri luoghi. Si frantuma la produzione in tante unità e si spezza l’unità operaia – che all’interno della fabbrica aveva acquistato una propria autonomia anche rispetto alle organizzazioni sindacali – usando la cassa integrazione come arma politica, non per “mettere momentaneamente a riposo dei lavoratori per mancanza di produzione”, ma per eliminare le avanguardie dalla fabbrica.

Questa lunga offensiva padronale, che modifica i territori della metropoli attraverso la progressiva diversificazione delle attività produttive e creerà il sistema del lavoro nero fuori dalla fabbrica, manda in crisi i gruppi politici extraparlamentari e costringe operai e avanguardie ad alzare il livello dello scontro.

Un’organizzazione come Prima linea decide che, per mantenere l’autonomia, la democrazia e il potere operaio già raggiunti in fabbrica, è necessario alzare il livello dello scontro e organizzarsi anche militarmente per reggere l’attacco padronale. Contemporaneamente nel tessuto sociale nasce e prende forza l’Autonomia operaia, organizzata e diffusa, che pur praticando la violenza non è strutturata in organizzazioni clandestine e insegue il capitale sul territorio, là dove si scompone in nuove forme di potere.

Da quel momento le risposte assumono diverse forme. Quella di Pl e altri organismi come la “Walter Alasia”,5 sostengono, per esempio, che bisogna essere presenti all’interno della fabbrica e contemporaneamente avere delle strutture clandestine. Altri movimenti di massa come l’Autonomia operaia danno risposte diverse sul territorio continuando a legare tra loro soggetti difformi anche al di fuori della fabbrica, nei luoghi più dispersi della metropoli. Su questa contraddizione si formerà un dibattito molto grande e lungo, alla radice peraltro delle discussioni di stasera…

  1. Sidney Tarrow (London School of Economics), Disorder and Democracy: Conflict, Protest and Political Change in Italy, Clarendon Press, Oxford 1989.
  2. La più grande lotta operaia europea contro l’organizzazione del lavoro taylorista e fordista.
  3. GAP: Gruppi di azione partigiana legati all’editore Giangiacomo Feltrinelli.
  4. Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia ecc.
  5. Brigate rosse, Colonna Walter Alasia: si vedano gli interventi di Ada Negroni presenti in questo libro.

Primo Moroni in Le parole e la lotta armata. Storia vissuta e sinistra militante in Italia, Germania e Svizzera. A cura di Primo Moroni e IG Rote Fabrik, Konzeptburo, Shake edizioni, Milano 1999, ristampa 2009.