Quarto contributo in attesa dell’Autodistruzione nucleare.
Quando ci prende la tentazione di – premere il bottone – e si cade in questa tentazione anche ammettendo che qualche altro, un giorno, potrebbe essere costretto a farlo, se necessario – quando cadiamo in preda di così atroce insidia e di così disperata e deserta contemplazione del possibile, ricordiamo non già i duecentomila di Hiroshima, o i sei milioni di ebrei, perché questo aver bisogno di immagini quantitative per respingere la nuova ecatombe è già un segno di dannazione. In realtà dovrebbe bastare l’immagine di un solo volto umano segnato dal dolore, di un concretissimo volto di persona che abbiamo visto patire senza colpa, in un certo luogo del nostro spazio e in un certo momento del nostro tempo: per esempio l’immagine di una bambina solitaria, affamata e disperata che una volta incontrammo in una certa strada di campagna del miserabile Sud.