Alberi e coralli

Quarto contributo in vista de “La fine dell’uomo“.

La prima immagine che viene in mente pensando all’evoluzione della specie, e in particolare dell’uomo, è quella fila di esseri che dalla scimmia a quattro zampe arriva progressivamente al bipede umano. Uno schema ben implementato nel nostro immaginario che contribuisce ad attutire  quella carica così destabilizzante e pericolosa propria della teoria darwiniana. La ramificazione arborea, “l’albero della vita” adottato da Darwin per illustrare la sua teoria ha contribuito a quella sorta di fraintendimento, per noi umani comunque rassicurante, di una evoluzione progressiva e lineare.

Nel paragrafo Alberi e coralli, che qui riportiamo, dal libro di Rossella Fabbrichesi In comune. Dal corpo proprio al corpo comunitario si evidenzia la figura del corallo (presente nei Taccuini privati di Darwin) in contrapposizione a quella dell’albero e di conseguenza il possibile accostamento con il pensiero rivoluzionario di Nietzsche.

Ringraziamo Rossella Fabbrichesi (che insegna Ermeneutica filosofica all’Università degli Studi di Milano) per averci dato il permesso di pubblicare questo brano dal libro edito da Mimesis nel 2012.

Alberi e coralli

di Rossella fabbrichesi

Alberi e coralli. In uno degli aforismi finali più famosi della Gaia scienza1 Nietzsche paragona la stirpe cui sente di appartenere (noi “argonauti dell’ideale”, “noi incomprensibili”) a un insieme di alberi. Si tratta però di alberi particolari, che crescono non in un solo luogo, ma ovunque, che si sviluppano “non in una sola direzione, ma sia in alto che in fuori, sia in dentro che in basso; la nostra forza preme ad un tempo nel tronco, nei rami, e nelle radici”. Ciò è forse difficile a intendersi, chiosa Nietzsche, come è difficile prevedere e definire nettamente lo sviluppo di ogni vita, di ogni impulso ad esistere e potenziarsi.

Non diversamente, solo qualche anno prima, ragionava Charles Darwin. Non mi riferisco tanto allo schema ad albero che è divenuto famoso grazie alla figurazione presente nelle pagine centrali dell’Origine della specie, ma agli studi attenti e documentati, anche attraverso schizzi e collezioni empiriche, compiuti dal naturalista inglese sui coralli.

Innegabilmente, alcune delle intuizioni relative all’evoluzione delle specie vengono rappresentate inizialmente tramite il cosiddetto “albero della vita”. “Gli esseri organizzati rappresentano un albero. Ramificati in modo irregolare, alcuni rami molto più ramificati…”2 . Darwin riproduceva così un’idea molto tradizionale, frequentata da Lullo a Bonnet, che poteva in fondo essere condivisa da molti autori anche non strettamente evoluzionisti. Ma se si leggono attentamente i Taccuini, si trova un Darwin affascinato dalla figura del corallo: essa viene percorsa e ripresentata in molte declinazioni, a partire dall’Amphiroa orbignyana, raccolta sulla spiaggia della Patagonia nel 1834 e fissata su di una carta brunita per essere riportata in patria sul Beagle3. Nel Taccuino B leggiamo: “L’albero della vita dovrebbe forse chiamarsi il corallo della vita”4. Il dubbio relativo alla forma arborescente deriva dalla necessità di contemplare la possibilità dell’estinzione. La base dei rami può essere morta, i passaggi invisibili e cancellati del tempo, pensa Darwin, ma l’evoluzione tuttavia procede. In altre direzioni, in basso, di lato, in dentro, come scrive Nietzsche; ovunque la forza della vita si imponga. Darwin privilegia dunque il corallo perché esso, con i suoi tronchi atrofizzati e le ramificazioni divergenti, offre un’immagine in grado di modificare l’idea di evoluzione per trasformazione continua e graduale di Lamarck, e di oltrepassare le figurazioni progressive e lineari dei teorici della scala naturae. Il corallo disegna le spire di un’evoluzione anarchica, priva di origine e di termine finale, capace di proliferazione infinita, che si sparge in ogni anfratto, che sonda ogni direzione, utile o inutile, che si sviluppa asimmetricamente e annulla ogni tendenza all’uniformità. I rami che si estinguono risultano altrettanto numerosi di quelli che si propagano, e questi ultimi si possono raggruppare in nuove unità anche provenendo da radici molto lontane tra di loro. Si tratta di tortuosi processi di sedimentazione e di innesto che occorre valutare con cautela..

Il primo, eccezionale diagramma dell’evoluzione, consegnatoci sempre dal Taccuino B5, è di fatto uno schizzo coralliforme cui Darwin appone la famosa dicitura “I think”, “per innalzare il disegno a membrana del pensiero”6.

Qui si vede bene come le ramificazioni non si espandano solo verso l’alto, ma esplodano in ogni direzione: un ramo può bruscamente interrompersi, l’altro propagarsi a raggiera, a cespuglio, a ventaglio. Tra le varianti di specie può esserci vuoto di relazione, differenziazione estremamente sottile o distinzione rilevante, ma, nota ancora Darwin, “per fare ciò e per avere molte specie nello stesso genere (come accade) NECESSITA l’estinzione”7.

Spiegano gli studiosi che lo scienziato inglese accantonò poi questa enorme messe di studi e di disegni sui coralli per ragioni di polemica con Wallace, che utilizzava anch’egli il modello ad albero per proporre uno schema evolutivo che a quel punto si poneva in alternativa a quello darwiniano. Egli non voleva dunque essere scippato dell’ideale figurale, della quale, tuttavia, non era interamente convinto. Nell’Origene delle specie noi vediamo alla fine proprio l’immagine dell’albero dai molti rami8, e quest’immagine fisserà per decenni l’idea dell’evoluzione. Anche in tal caso, però, come in molti altri che vedremo, l’evoluzionismo darwiniano era già un passo oltre la propria cristallizzazione scientifica, e appare ai nostri occhi straordinariamente vicino ad una visione nomade e rizomatica quale quella nietzscheana.

  1. Nietzsche, Gaia scienza, 371
  2. C. Darwin, Taccuini, a cura di T. Pievani, Laterza, Roma-Bari, 2008. Taccuino B 21, p. 130.
  3. H. Bredekamp, I coralli di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, p. 14.
  4. Darwin, Taccuini, Taccuino B 25, p. 131.
  5. Ivi, p. 137.
  6. Come nota Bredekamp, che prosegue: “’I think’ – scrive il pensatore – e il disegno parla” (op. cit., p.. 38).
  7. Darwin, Taccuini, B 36, p. 180.
  8. C. Darwin, L’origine delle specie (1872), a cura di G. Montalenti, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 182-3.