Il terzo contributo in direzione del ciclo “La fine dell’uomo” è una recensione di Giuliano Spagnul al volume di Telmo Pievani “Homo sapiens e altre catastrofi”. Ne riportiamo l’introduzione, quindi il link al brano originale su La bottega del Barbieri.
“Ambiguamente speciali” così Telmo Pievani ci descrive nella sua nuova edizione, rivista e aggiornata, di «Homo sapiens e altre catastrofi» .(1) Speciali nel nostro primeggiare nei confronti degli altri esseri viventi con cui spartiamo il mondo che abitiamo, ma ambigui nel modo in cui ci rappresentiamo in questo essere speciali. Se questo è certamente un leitmotiv ricorrente nel libro nel suo porre a severa critica le narrazioni di una nostra presunta superiorità, congenita o acquisita che sia, in questa definizione particolare, credo l’autore voglia dirci qualcosa di più preciso. E cioè che l’ambiguità sia insita proprio nella formazione delle caratteristiche peculiari che ci hanno reso capaci di sopravanzare le altre specie animali; che siano la nostra capacità di camminare eretti, di fabbricazione e uso di strumenti, di sviluppo della massa cerebrale, di costruire relazioni sociali o dell’invenzione del linguaggio. Eppure siamo così abituati a considerare le nostre dotazioni umane come conquiste dovute al nostro faticoso (e lodevole) apprendistato per uscire dalla condizione meramente animale che l’idea di una loro presupposta opacità ci rende incerti e spaventati come lo sarebbe il primo della classe che si sentisse sospettato di aver copiato. Abbiamo forse barato? Non siamo stati i migliori come abbiamo sempre creduto?
Continua in originale a questo indirizzo