Secondo contributo in vista de La fine, a cura di Roberto Paura, nostro ospite in occasione del primo appuntamento del ciclo.
Tra il 1560 e il 1660 le temperature globali crollarono. Fu il picco della cosiddetta “Piccola Era Glaciale”, una fase di raffreddamento planetaria che si protrasse fino agli inizi del XIX secolo e dovuta, secondo gli scienziati, a una riduzione dell’attività solare. Ma il crollo delle temperature nel corso di quel secolo avrebbe un’altra spiegazione, secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori dell’University College di Londra: l’estinzione di massa dei popoli amerindi. Quando Cristoforo Colombo arrivò in America, le popolazioni autoctone contavano, secondo le stime, sessanta milioni di individui. In meno di un secolo, si ridussero del 90%. Un’autentica estinzione di massa dovuta, com’è noto, alle malattie importate dall’Europa, alla violenza dei conquistadores, agli shock culturali. In una parola, alla colonizzazione.
L’America fu completamente spopolata e solo gradualmente ripopolata dai coloni europei e dagli schiavi importati dall’Africa. Le città precolombiane furono inghiottite dalla foresta, le coltivazioni si interruppero e vennero invase dalla vegetazione: ciò avrebbe comportato una significativa riduzione dell’anidride carbonica in atmosfera e la riduzione delle temperature globali (Koch et al., 2019). L’umanità, dunque, già agli albori della modernità, si sarebbe rivelata, se non ancora “forza geologica”, come nella definizione dello storico Dipesh Chakrabarty (2009), perlomeno “forza atmosferica”, in grado di influenzare in modo determinante l’intera biosfera.
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