Milano, istruzioni per l’uso (seconda parte)

Milano istruzioni per l’uso

2^ Parte

La cittadella dei destini incrociati

Che sarebbe poi il quartiere Ticinese-Genova. Cuore del “triangolo dei destini”. Qui la storia cittadina si è incrociata e sovrapposta creando enigmi e suggestioni frequentemente indecifrabili. Città romana, città medioevale e influenze spagnole sono individuabili negli edifici e nelle strade. Molto però va immaginato seguendo un procedimento borgesiano23 perché le distruzioni e le riedificazioni hanno fatto letteralmente sparire interi luoghi che però frequentemente riappaiono casualmente e sorprendentemente. Appare ovvio che qui i toponimi si sprechino: Porta Cica, Borgo vecchio o Borgo di Cittadella, Casbah24, sono una parte delle definizioni che circolano nella memoria collettiva. Ma il Ticinese è anche, a sua volta, un triangolo urbano esemplare con l’angolo acuto situato al Carrobbio (l’antica e romana Porta Ticinensis), vicino alle colonne e alla basilica di S. Lorenzo, il lato sinistro che scivola per Corso di Porta Genova verso il Giambellino e quello destro che percorrendo il Ticinese, il S. Gottardo e la via Meda finisce a Rozzano inglobando i due storici navigli. Il Ticinese-Genova è anche una storica zona intermedia tra centro e periferia ma che, a differenza di altre (ma ad esempio simile al quartiere Garibaldi), è visivamente e topograficamente una continuità con il centro storico ricavando da questa favorevole collocazione urbana una vocazione di frontiera e di innovazione. Frontiera tra centro e periferia ma anche nel significato di generare nuovi stili di vita o di possedere l’humus favorevole a produrre crinali di confine tra legale e extralegale, tra normalità e devianza, tra moralità produttiva e fuga dal disciplinamento lavorativo. Qui è nata la “ligera” – celebrata dal grande Danilo Montaldi –25 con i suoi riti, il suo linguaggio, le sue regole interne. La ligera o “leggera” è un “tipo di malavita di piccolo cabotaggio che vive ai margini della società, ha una propria e particolare visione del mondo, dei particolari principi, un particolare gergo e una certa fierezza riguardo alla propria condizione”26. La ligera è quindi stata una componente sociale rilevante della zona mischiandosi continuamente con artigiani, operai e – negli anni ’70 – con i “politici” che affluirono in massa nel quartiere. Sembra ovvio, quindi, che storicamente sia questa l’area dove si è sviluppata la più complessa cultura sociale della tolleranza nei confronti dei diversi. Di qualsiasi diverso. Un vasto quartiere a suo modo magico e che il viandante distratto si limita ad usare per il loisir o per il pittoresco, ma che nasconde le radici dell’anima popolare della città e, d’altronde, larga parte del dialetto e molte delle leggende metropolitane hanno qui le loro origini scolpite frequentemente nelle targhe delle vie, nei luoghi monumentali o nella memoria degli abitanti.

  1. Semplificando vuol dire “inventare i luoghi, gli eventi e la relativa bibliografia (forse immaginaria) partendo dal presupposto logico che se mai fossero esistiti sicuramente sarebbero stati così”.
  2. Porta Cica allude a una porta più piccola che si affiancava nella cinta muraria medioevale a quella più grande e ufficiale, Borgo della Cittadella invece alla cinta muraria (una specie di gibbosità) fortificata fatta erigere da Azzone Visconti. Partiva dall’attuale Cesare Correnti per percorrere la Via Conca del Naviglio per poi risalire in Via S. Croce ricongiungendosi con la cinta principale in via della Chiusa (alcuni resti resistono nella sede del mobilificio “Ca d’Oro” di Via De Amicis). Casbah infine è definito il complesso di vie intorno alla Darsena di Porta Ticinese che in quanto porto fluviale non poteva che generare una zona di malavita.
  3. Danilo Montaldi, uno dei maggiori “storici orali” italiani ha scritto Autobiografie della leggera, una vasta ricerca sulla vita di alcune fasce marginali sospese tra illegalità e legalità.
  4. Vedi Leonardo Sciascia “La povera Rosetta” in Cronachette, Sellerio, Palermo, 1985.

Nel labirinto urbano dei segni e dei significati

Abbiamo parlato delle targhe stradali e nel Ticinese  queste nascondono interi frammenti di storia locale. Nomi e significati che sono stati deformati dall’uso comune, me che contengono al loro interno il senso originario in una sorta di delirio interpretativo che consente di riprodurre atmosfere e vicende leggendarie. Alcuni esempi:

Via Arena: indubbiamente deve il suo nome all’esistenza di un autentico anfiteatro romano, ma che dire del fatto che il naviglio che qui scorreva era detto di Viarenna dal nome di una famiglia nobiliare che ne gestiva il dazio sulle merci transitate27 mentre dell’arena romana si era persa traccia? L’anfiteatro riemergerà nel dopoguerra ma solo come segno nel terreno: le pietre che lo costituivano erano finite, chissà quando, a far da base sotterranea alle colonne di S. Lorenzo di cui peraltro non è certa la provenienza.

Vivira, Vivera, Vetera, Vetra, Vetere: Vivira era il nome romano dell’Olona che entrava nella città da Porta genova (Via S. Vincenzo). Diverrà questo canale prima Vevera e poi Vetra dando il nome alla piazza omonima. Ma nella tradizione popolare era detta anche Vetera così come Vetere – oltre a essere un nome di una via dove c’è la sede di Democrazia Proletaria – erano le vedove che al tempo del Barbarossa si ritiravano in un convento – che quivi esisteva – per difendersi dalle violenze della soldataglia28.

Via Scaldasole che dal Corso Ticinese porta alla casbah. Qui esisteva una chiesetta detta di S. Pietro a Caldo Suolo ad interpretazione semplificata del nome della strada. In realtà Scaldasole deriva da “sculdascio” che è il nome di un tributo che in epoca longobarda era dovuto ai proprietari terrieri. I notabili che riscuotevano detto tributo erano detti “sculdasci” e abitavano non a caso a Scaldasole in Lomellina.

Per non tediare, come ultima citazione, rimane il Vicolo Calusca davanti a S. Eustorgio. Prende il nome dalla nobile famiglia dei Lusca (Casa dei Lusca) ma nella sua decadenza diventerà sede di alcune case di tolleranza dette appunto in dialetto “ca’losch” (case losche) per riacquistare una certa celebrità come sede della libreria Calusca nota per essere un centro di comunicazione sovversiva e in ciò riallacciandosi agli Honky Tonky citati. Non meno confusa e carica di fascino è la vicenda degli edifici storici. Il Palatium romano – che in epoca medioevale diventerà Corte Ducale ubicata sull’area dell’attuale Palazzo Reale – era probabilmente dalle parti di Piazza Mentana al Carrobbio vicino al Circus le cui tracce riemergono talvolta negli scantinati di Via Cappuccio. Sempre al Carrobbio doveva esistere il Monastero dei Frati di Gallarate della Chiesa degli Umiliati questo sì letteralmente scomparso e poi riemerso nel 1991 durante i lavori di restauro di un negozio di ferramenta. Ma il Carrobbio – vertice magico del triangolo sud – nasconde vicende straordinarie. Qui, dal cavalcavia della Vetra dei Cittadini, Caterina Trocazzani credette di vedere Guglielmo Piazza praticare “unzioni venefiche” sulle case sottostanti. Da questo equivoco, prodotto dalla paranoia della peste, prenderà avvio la drammatica vicenda di Giangiacomo Mora raccontata dal Manzoni ne “La colonna infame” e qui ancora nel 1913 venne uccisa dai poliziotti “La povera Rosetta”29 proprio vicino all’ex abitazione del barbiere Giangiacomo Mora. Una casa maledetta si direbbe. Già fatta demolire dall’Inquisizione, poi distrutta da un incendio nell’800. Riedificata, sarà l’unico stabile della via ad essere colpito durante i bombardamenti del ’43. Lì vicino la mitica Piazza Vetra antica contrada di pellai e malavitosi ma soprattutto luogo dei supplizi riservato al popolino – i nobili venivano giustiziati in Piazza Mercanti – e inaugurato nel 1043 per diventare una prima volta celebre due secoli dopo attraverso il martirio del sacerdote Saramita e della sventurata Maifreda, colpevoli di aver professato l’eresia di Guglielmina la Boema. Un luogo di morte con intorno un’infinità di leggende puntualmente registrate nella memoria popolare. Così è per lo scellerato ”bargniffo” come per il “Cicca Berlicca”30. Molto rimane da raccontare ma lo spazio consente di accennare solo alle basiliche. S. Lorenzo di origine romana (culti ariani) poi cristiana. Più volte demolita, crollata, danneggiata, tanto da non rendere conto di essere stata considerata la più bella basilica cristiana di Occidente31. Anche in questo caso le origini sono incerte e forse S. Lorenzo è proprio una delle tre basiliche paleocristiane di cui sono stati tramandati i nomi ma non l’ubicazione32. Vicino alla circonvallazione delle mura spagnole abbiamo poi S. Eustorgio perfettamente conservata e detta anche “basilica dei Re”. Antico duomo la cui fondazione è altrettanto avvolta dalla leggenda. È l’unica chiesa con un pulpito esterno che serviva a S. Pietro da Verona, grande inquisitore, per denunciare eretici e libertini. Per questa sua attività venne assassinato da alcuni bravi con un coltellaccio che gli trafisse il cranio. Ovvio che diventasse il protettore del mal di testa. Un gruppo di quartieri, quindi che trasudano storia e vicende umane da ogni pietra e da ogni via. Un’area urbana dove si sono sempre  incrociati preti, inquisitori, poliziotti, malavitosi e prostitute33 convivendo fianco a fianco con artigiani pregevoli, operai professionali e commercianti innovativi.

  1. Non pagavano il dazio i materiali per la costruzione del Duomo. Questi barconi portavano la scritta “ad usum fabricae” e da qui l’espressione milanese “fare qualcosa a ufo” cioè gratuitamente.
  2. Non si ritirarono nei conventi solo le vedove, ma anche le zitelle e le vecchie che fondarono il convento della Vecchiabbia da cui deriva l’odierna Via Vettabbia dalle parti della Fiera di Senigalia. Il Vittabbia era peraltro un ramo dei navigli interni.
  3. La vicenda ha ispirato una delle canzoni storiche della “mala” milanese. Quella che dice: “Il ventisei di Agosto / in una notte scura / commisero un delitto / gli agenti di questura. / Hanno ammazzato un angelo / di nome la Rosetta / era di Piazza Vetra / battea la Colonnetta”. In realtà la Rosetta era una chansonnier “corteggiata dai milionari e amante dei teppisti”.
  4. Vedi – anche per molte altre informazioni – Così era Milano di Bruno Pellegrino – editrice Libreria Milanese. Le vicende di questi personaggi diventavano spesso filastrocche terrorizzanti per i bambini. Così per il Cicca Berlicca: “Cicca Berlicca / La Forca t’impicca / Leon, speron… col rest… / Indovina se l’è quest”. O per il “bargniffo”: “Sott al pont de ciff e ciaff / La ghé stà Bargniff Bargnaff, / Cont la veste verdesina, / Gran dottore chi l’indovina”.
  5. Un’immagine che la restituisce al suo splendore è conservata nell’arazzo conservato al Museo del Castello Sforzesco. Lì si vede S. Ambrogio che scaccia gli ariani. Sullo sfondo la basilica originaria con la cupola splendente di oro e di azzurro.
  6. Le tre basiliche si chiamavano “Vetus o Minor”, “Nova o Maior” e Portiana. Pare accertato che la “Nova o Maior” fosse dov’è attualmente S. Tecla, ma per le altre due occorre seguire un procedimento deduttivo basato su poche lettere di S. Ambrogio alla sorella. Vedi Bruno Pellegrino, op. cit.
  7. Quasi a conferma della composizione sociale, nel cuore del quartiere c’è lo storico carcere di S. Vittore.

Tra porta Cica e il Bottonuto

I rapporti tra questa area urbana e il microsistema sociale di Via Larga sono stati assai più complessi di quanto non sia avvenuto per il Vigentino-Romana. Il mix culturale era per molti aspetti simile, mancando al Ticinese solamente la componente nobiliare (che aveva peraltro il vezzo di recarsi nelle trattorie e nelle osterie della mala in cerca di brividi). Anche il collegamento urbano è sempre avvenuto per linee interne, piuttosto che per grandi direttive come nel Vigentino, attraverso il dedalo di vicoli che vanno da piazza Missori a piazza Vetra. Sulla grande piazza il cine-teatro Alcione uguale al Carcano ma molto più grande; nelle vie del quartiere mitiche osterie34 si mischiavano con i locali innovativi che imitavano quelli centrali. Fra tutti lo Shangai in Col di Lana (oggi Be-bop)., l’Arenella in Conca del Naviglio e il Roxy-Club a Moncucco35. Ma il Ticinese fino alla Baia del Re36 possedeva anche una varietà di aggregazioni giovanili molto trasgressive e girovaganti che si fusero rapidamente con le equivalenti compagnie del centro storico. Nutrendosi della loro maggiore complessità, ma scambiando con questa sia la loro esperienza extralegale che il reciproco uso amicale del territorio. Ne sortì così un’alleanza che avrebbe avuto più importanza di quanto si pensi sulle vicende sociali di una parte di questa città.

  1. Fra tutte si possono citare “La Briosca” in Ascanio Sforza, vero tempio della musica popolare milanese, e la “Crota Piemunteisa” in Alzaia Naviglio Pavese. Quest’ultima era frequentata da Salvatore Quasimodo e da Elio Vittorini (che abitava lì vicino). Ovvio che il suo titolare (piemontese amante di Cesare Pavese) scrivesse vicino alle olive per l’aperitivo “Per un oliva pallida si può delirare”.
  2. I mutamenti di questo locale sono da soli un pezzo di storia cittadina. Nato come Cooperativa comunista “Martiri di Moncucco” (partigiani), diventa balera Rock nel ’60, poi osteria con musica – col nome di “La fogna” – quando si diffonde la moda di rifrequentare le osterie, per finire come “Locanda delle Streghe” negli anni ’80. Qui si conclude la sua vicenda con l’assassinio misterioso di otto persone (tra cui il titolare, il cuoco e il cameriere) in un regolamento di conti tra malavitosi. Attualmente ospita una parte dell’archivio della Libreria Calusca.
  3. Vien – nella memoria popolare – chiamato così l’attuale quartiere Stadera in fondo a Via Meda. Le “Baie del Re” esistono anche in altre città (ad esempio a Cremona) e sono sorte intorno alla metà degli anni ’20 quando il fascismo decise di sloggiare gli indesiderabili dai quartieri vicini ai centri storici per concentrarli in zone più periferiche. L’autodefinizione fu adottata dagli abitanti ispirandosi al volo di Nobile al Polo Nord e al suo rimanere bloccato sulla banchisa polare che, in onore al monarca, Nobile battezzò Baia del Re. Nell’ironica autodefinizione degli indesiderabili abitanti di questi quartieri, stava a significare la loro lontananza dal potere. Può essere divertente osservare come recentemente il quartiere Stadera sia stato incluso tra i supposti Bronx della città milanese.

Il triangolo si sposta al Carrobbio

L’avanzata inarrestabile del piano regolatore del ’53 e l’arrivo di centinaia di migliaia di immigrati determinò – tra l’altro – la demolizione di gran parte degli edifici del microsistema sociale Bottonuto – Via larga. Un intero modello socio-culturale si disperse così nelle altre zone della città. Il centro storico cominciò così a diventare sempre più esclusivo e sempre più monotono. Ma i soggetti sociali che lì si erano formati dimostrarono una singolare capacità di adattamento agli sconvolgimenti in corso. La città usciva dal lungo letargo degli anni Cinquanta e si avviava verso una modernizzazione accelerata sia nel modo di produzione (l’estensione massiccia del modello taylorista) che nell’organizzazione sociale. Nascevano nuove professioni, emergevano nuovi bisogni privati e nuovi stili di vita. La generazione dei locali esistenzialisti sempre più protesa nello sforzo di sfuggire al disciplinamento della fabbrica, abbandonò rapidamente la nostalgia del vecchio luogo amico per inventarne di nuovi mettendo a frutto tutte le culture acquisite. Si può dire che si mosse sia ricreando un nuovo spazio immaginario nella zona Ticinese (in ciò mischiandosi con le risorse locali) che tentando di rimanere nel centro storico attraverso la creazione di ulteriori locali innovativi. Nascono così Il Dollaro e il Pam-Pam (che sono anticipatori del Fast-Food37, uno dietro Piazza Diaz e l’altro vicino a Via Torino, affiancati dai whisky a go-go dove si entra a ballare solo in coppia e la musica è in hi-fi, un’innovazione che sarà vissuta come repressiva dai giovani delle periferie perché costringe a cercare le ragazze fuori dalle rituali abilità delle sale da ballo favorendo in ciò studenti e impiegati. Ma nasce anche – per la prima volta a Milano – il cabaret colto che mischia la protesta politica con il recupero della musica popolare. Basti dire che in questi locali si sono formati Cochi e Renato, Jannacci, i Gufi, ecc.38. Sorprendentemente gli ideatori di questi locali provengono quasi tutti dal microsistema sociale Bottonuto – Via Larga. Altri apriranno gallerie d’arte, faranno carriera nelle nascenti opportunità offerte dalle rappresentanze commerciali a sostegno del dilagare della società dei consumi o daranno vita a solide imprese artigiane39. Nel nuovo triangolo Carrobbio-Ticinese si spostano una parte rilevante delle attività commerciali precedentemente collocate nella parte sud del centro storico, mentre ne vengono aperte di nuove modernizzando attività preesistenti. È particolarmente rilevante che ciò sia avvenuto senza modificare la cultura di base del Ticinese ma, al contrario, potenziandola e valorizzandola.

  1. Sono però molto più eleganti e di buon gusto. Sostanzialmente si introducono nuovi cibi meno rituali dei classici. C’è un servizio ai tavoli molto più spigliato e confidenziale e gli orari spaziano dal mezzogiorno ininterrottamente fino alla notte. Ottengono un grande successo sia perché corrispondono ai nuovi ritmi lavorativi che per il loro essere novità. Ci vanno infatti anche i ceti sociali più elevati ricostruendo così quel mix sociale che veniva distrutto all’esterno.
  2. I locali più noti sono indubbiamente il Derby Club (l’unico decentrato verso S. Siro) il Nebbia Club in Piazza Pio XI, il Cab 64 in Via S. Sofia e, più tardi, Il Refettorio in Via S. Maurillo.
  3. Vedi le microbiografie “Destini dei componenti della banda del Porto Franco” in Dal Nomadismo urbano al mangiare in centro.

Rosso un cuore in petto c’è fiorito

Sta nel nero della pelle, nella festa collettiva, sta nel prendersi la merce,

sta nel prendersi la mano / Nel tirare i sampietrini, nell’incendio di Milano.

Sta nei sogni dei teppisti e nei giochi dei bambini. Nel conoscersi del corpo /

Nell’organo della mente / Nella gioia e nella rabbia, nel distruggere la gabbia /

Nella fabbrica deserta, nella casa senza porta / Nella voglia più totale del

discorso trasparente…

Gianfranco Manfredi, “Ma chi ha detto che non c’è”, Milano 1977.

 

Con l’inizio degli anni Settanta il triangolo sud – ormai definitivamente abbassato al Carrobbio – completa la sua vocazione di frontiera. Nascono intorno alle Colonne di S. Lorenzo le sedi delle più importanti formazioni politiche extraparlamentari (Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Il Manifesto, gli anarchici, ecc.) e una quantità innumerevole di redazioni di riviste e collettivi territoriali. Le motivazioni sono molteplici ma sicuramente ne emergono due fra tutte: la favorevole collocazione urbanistica verso il centro storico che trasforma la zona in un autentico cuneo piantato nel cuore della città e la disponibilità della proprietà immobiliare ad affittare a soggetti talmente inaffidabili40. In ogni caso le varie componenti sociali dei quartieri accettarono i “politici” come una variante della storica diversità del quartiere. La cittadella diventa così fiammeggiante di bandiere rosse e rossonere. Altri luoghi diventano così leggendari. Forse qui c’è stata la prima base delle Brigate Rosse (così dice Franceschini nel suo libro ma non ne rivela l’ubicazione), ma sicuramente in Via Maderno al Ticinese viene arrestato Renato Curcio. Ma con le sedi politiche arrivano anche migliaia di nuovi soggetti provenienti da tutta la città. Si installano nelle case sfitte, guidano occupazioni di interi stabili in tutta la zona sud (storiche quelle di Via Tibaldi e di una parte consistente del quartiere Barona),  invadono le antiche osterie e trattorie mischiando le canzoni di lotta con quelle della tradizione malavitosa. Ma lo zenith del triangolo diventa anche ovviamente il riferimento di tutti i collettivi e i circoli giovanili della zona sud. Qui confluiscono dal Gratosoglio, dalla Barona, dal S. Ambrogio, dal Corsico, Rozzano e Trezzano sul Naviglio. Si può dire che per un decennio la sua funzione sarà sostitutiva di quella che un tempo era propria di una parte del centro storico. Una funzione di complessificazione dei vissuti e degli universi vitali dei soggetti provenienti dalle periferie e dai quartieri monoclasse. Un autentico laboratorio di adeguamento ribelle alla modernizzazione. Un centro diffuso di comunicazione antagonista e di sperimentazione di possibili modelli di vita. Una zona intermedia totalmente amicale e addomesticata protesa alla riconquista del centro storico. Ma quello che è stato definito “movimento ‘77” ha negli spazi metropolitani un significato di assoluta novità. Per la prima volta infatti i soggetti delle periferie fondono le proprie risorse vitali, i propri bisogni con le vite dei soggetti dei quartieri più vicini al centro storico, con gli studenti e i “politici” scardinando certezze e gerarchie. La città viene così globalmente e trasversalmente pervasa da un ondata comunicativa breve e inarrestabile che modifica interamente gli usi degli spazi sociali. Ultimo disperato tentativo prima che il “grande drago” dell’eroina ricacciasse tutti nei propri spazi disciplinari. La fine di questa esperienza è sufficientemente nota nella sua deriva e nei suoi drammatici riscontri repressivi. Altrettanto ovvio che – per questi motivi – sia diventata per un lungo periodo uno dei luoghi principali della fruizione dell’eroina41 dimostrandosi gli spacciatori perfetti conoscitori dell’”uso sociale dello spazio urbano”. È abbastanza facile infatti dimostrare che i clienti dei pusher di piazza Vetra provenivano per la gran parte dal sistema dei quartieri posti alla base del triangolo sud.

  1. Si può dire che gli storici proprietari della zona (fra tutti l’immobiliare Ceschina) consideravano in parte perdute le loro proprietà a causa della rilevanza della componente sociale extralegale che rendeva l’area poco desiderabile ai cittadini più normali. Inoltre lo storico blocco degli affitti rendeva difficile gli sfratti.
  2. Una delle prime “piazze” dell’eroina si forma in Via Odazio al Giambellino ed è noto che la Piazza Vetra sarà per anni uno dei simboli negativi della diffusione delle tossicodipendenze.

La vita come ballata folk

Con gli anni Ottanta i quartieri sembrano sparire assorbiti dalle definizioni amministrative. La Barona “dolce e disperata” è oramai solo la zona 16 così come il Gratosoglio è zona 15 e il Corvetto 14. La città diventa il luogo privilegiato della frantumazione non governata. Gli operai sono scomparsi trascinando con sé le illustri borghesie socialdemocratiche. Una nuova oligarchia economica rozza e pragmatica diventa padrona della città. Innovazione tecnologica, produzione immateriale, finanziarizzazione delle attività e delle proprietà immobiliari sono solo alcuni aspetti di un’autentica rivoluzione dall’alto che investe la metropoli milanese. La città è ormai una gigantesca centrifuga che espelle i soggetti deboli (perde infatti 350.000 abitanti in dieci anni) e il centro storico sembra essere fortificato da divieti e commercializzazioni esclusivi. La cerchia dei navigli (ex mura medioevali) antico limite del “centro” si dilata oltre le mura spagnole. Le periferie diventano di nuovo la “città dell’abbandono” senza prospettive parafrasando il “nessuno uscirà vivo di qui” di Jim Morrison. Ma è proprio nella “città dell’abbandono” che si formano nuove percezioni e possibili risposte. Forse non ci sono più luoghi possibili, la nuova città non li consente e forse gli stessi soggetti sociali hanno rinunciato a impadronirsene. L’ultimo tentativo è probabilmente quello del 1986 quando l’area delle Colonne di S. Lorenzo diventa la più grande aggregazione all’aperto della città. Lì si trovano i punk, i punx e le “creature simili”. Vengono duramente sloggiati e devono inventarsi altri luoghi. Strani e indefinibili, determinati dalla necessità della continua “invenzione del presente”. Luoghi separati, indubbiamente, dove prevale “la volontà (la condizione?) di controllo immediato delle condizioni di esistenza e la rivendicazione di uno spazio che segni l’indipendenza dal sistema”42. Tutto intorno lungo i navigli del triangolo sud una nuova generazione di locali innovativi trasformano il quartiere nel nuovo e massificato luogo del loisir cittadino. I proprietari provengono quasi tutti dalle esperienze politiche degli anni Settanta. Vendono una merce speciale “la perduta affettività delle sedi politiche e sociali”.

  1. Vedi Alberto Melucci, L’invenzione del presente, ediz. Il Mulino, Bologna, 1982.